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I disastri ambientali


Per disastri petroliferi si intendono disastri ambientali causati dal petrolio.

In particolare la perdita del petrolio dalle petrolifere,in ambito specialistico italiano frequentemente traslato in spillamento (o meglio: versamento), compromette gravemente l'ambiente terrestre. Infatti il petrolio ha un peso specifico minore dell'acqua, per cui inizialmente forma una pellicola impermeabile all'ossigeno sopra il pelo libero dell'acqua, causando oltre agli evidenti danni per fenomeni fisici e tossici diretti alla macrofauna, un'anaerobiosi che uccide il plancton. La successiva precipitazione sul fondale replica l'effetto sugli organismi bentonici. La bonifica dell'ambiente danneggiato richiede mesi o anni.

Il rilascio del petrolio è in genere causato dagli umani, tuttavia può in certi casi essere causato da eventi naturali, quali ad esempio fratture del fondo marino.

Non è facile stabilire la quantità di idrocarburi che si perde ogni anno in mare, tuttavia le stime di tali perdite sembra che si aggirino su una media di 4 milioni di tonnellate l'anno per tutto il pianeta e di 600.000 tonnellate per il solo Mediterraneo.

Il petrolio ha effetti dannosi agli animali che si immergono in queste perdite delle navi petrolifere. Negli uccelli il petrolio penetra nel piumaggio, riducendo la capacità di isolante termico (rendendo gli animali vulnerabili alle escursioni termiche ambientali) e rendendo le piume inadatte al nuoto e al volo, per cui gli uccelli non hanno la possibilità di procacciarsi il cibo e di fuggire dai predatori. L'istinto degli uccelli li porta a pulirsi il piumaggio con l'uso del becco, ma in questa maniera ingeriscono il petrolio, con effetti nocivi per i reni, il fegato e l'apparato digerente; questi ultimi effetti all'organismo, assieme all'incapacità di procurarsi il cibo, porta alla disidratazione e a squilibri nel metabolismo. A questi disturbi possono aggiungersi effetti, che per un meccanismo a cascata si ripercuotono in alterazioni ormonali. Il petrolio grezzo infatti possiede spesso una carica elevata di composti aromatici policiclici, spesso coinvolti in meccanismi biologici nel vasto ambito degli interferenti endocrini. Allo stesso modo degli uccelli, i mammiferi marini che sono esposti al petrolio presentano sintomi simili a quelli che si hanno negli uccelli: in particolare la pelliccia delle lontre di mare e delle foche perdono il loro potere di isolante termico, causando ipotermia.

Sono successi molti disastri a causa del petrolio ma quelli che ne hanno disperso maggiormente sono: quello di Lakeview Gusher in California nel 1911, seguito da quello della piattaforma Deepwater Horizon e conseguente perdita del Pozzo Macondo del 2010 (nel Golfo del Messico) e dal disastro della Guerra del Golfo (nel Golfo Persico nel 1991); vi sono poi, sempre per importanza del tonnellaggio di petrolio disperso, quello causato dalla la piattaforma petrolifera Ixtoc 1 (nel Golfo del Messico nel 1979-1980) e il naufragio dell'Amoco Cadiz (in Bretagna) nel 1978.
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I 10 PEGGIORI DISASTRI PETROLIFERI

1. Guerra del Golfo, Golfo Persico, 1991Il 21 gennaio del 1991, nel corso della prima Guerra del Golfo, si verifica una gravissima fuoriuscita di petrolio nel Golfo Persico: ben presto si scoprirà che l’esercito iracheno ha aperto deliberatamente le valvole delle condutture di petrolio in Kuwait, allo scopo di impedire o, quantomeno, di ostacolare lo sbarco dei soldati americani. La marea nera colpisce le coste di Kuwait, Arabia Saudita e Iran, causando danni pesantissimi agli ecosistemi di quelle regioni. Stando alle stime di analisti e ricercatori, la quantità di petrolio disperso nell’ambiente in questa occasione si attesterebbe tra 1.360.000 e 1.500.000 tonnellate.Alla fuoriuscita di greggio si accompagna anche un secondo disastro ecologico: l’incendio di 732 pozzi petroliferi, sempre ad opera dell’esercito iracheno, per far sì che il fumo rendesse più difficili le operazioni aeree delle forze militari della Coalizione.
2. Ixtoc I, Baia di Campeche, Golfo del Messico, 1979-1980Il 3 giugno 1979 la piattaforma petrolifera messicana Ixtoc I è impegnata in alcune operazioni di esplorazione nel Golfo del Messico, a 600 miglia dalla costa del Texas. Per un errore nelle manovre, la piattaforma prende fuoco e comincia a disperdere petrolio in mare: la perdita, che va avanti per ben 9 mesi, fino al 23 marzo del 1980, si attesta tra le 454.000 e le 480.000 tonnellate.

3. Nowruz, Golfo Persico, 1983Il 10 febbraio 1983 una nave cisterna si scontra con la piattaformapetrolifera Nowruz, nel Golfo Persico, a poca distanza dalle coste iraniane. La collisione avviene nel corso della guerra tra Iran e Iraq e provoca una prima fuoriuscita di petrolio che sarà aggravata, circa un mese più tardi, dall’attacco dell’aviazione irachena. Il bombardamento causa un incendio di ampie proporzioni. La perdita di greggio viene arrestata solo alcuni mesi più tardi, nel settembre del 1983: si calcola che in questo lunghissimo arco di tempo siano state disperse nelle acque del Golfo Persico circa 300.000 tonnellate di petrolio.

4. Atlantic Empress - Aegean Captain, Trinidad e Tobago, 1979Il 19 luglio 1979, nel corso di una tempesta tropicale, la nave cisterna greca Atlantic Empress si scontra con la Aegean Captain al largo di Trinidad e Tobago. Entrambe le imbarcazioni riportano danni gravissimi, rilasciando in mare ben 287.000 tonnellate di petrolio


5. Valle di Fergana, Uzbekistan, 1992Un disastro ambientale meno noto ma di enormi proporzioni è l’incidente che il 2 marzo 1992 porta alla dispersione di circa 285.000 tonnellate di greggio nella valle di Fergana, in Uzbekistan. La valle di Fergana è una regione dall' economia prevalentemente agricola, ma ricca di giacimenti di petrolio e di gas, tanto da essere soggetta a trivellazioni a scopo estrattivo sin dai primi anni del XX secolo. È proprio nel corso di questa ordinaria attività estrattiva che si verifica la perdita, probabilmente a causa di un guasto.


6. ABT Summer, Angola, 1991Nel maggio del 1991 si verifica una violenta esplosione a bordo della nave cisterna liberiana Abt Summer, in navigazione al largo dell’Angola. Lo scoppio uccide anche alcuni membri dell’equipaggio e provoca un terribile incendio: l’imbarcazione arde per tre giorni prima di colare a picco e disperde a nell’Oceano Atlantico circa 260.000 tonnellate di petrolio.


7. Castillo de Beliver, Baia di Saldanha, Sudafrica, 1983Il 6 agosto del 1983 la petroliera spagnola Castillo de Beliver prende fuoco mentre è in navigazione al largo del Sudafrica. All’incendio segue una violentissima esplosione, che causa l’affondamento dell’imbarcazione. L’incidente provoca lo sversamento in mare di circa 227mila tonnellate di greggio.


8. Amoco Cadiz Brittany, Francia, 1978Il 16 marzo del 1978 l'Amoco Cadiz, una superpetroliera liberiana di 330 metri facente capo alla compagnia americana Amoco, si incaglia al largo delle coste bretoni, di fronte al litorale del piccolo borgo di Portsall. L’incidente provoca la dispersione in mare di circa 223.000 tonnellate di greggio e colpisce circa 150 km di costa, con danni ingenti per gli ecosistemi locali e in particolare per la fauna marina.

9. Amoco Haven, Genova, Italia, 1991Nell’aprile del 1991 la nave cisterna cipriota Amoco Milford Haven, nota anche come M/C Haven, affonda nel Golfo di Genova, probabilmente a causa di un’esplosione verificatasi durante una procedura di routine. L’incidente provoca la morte di alcuni membri dell’equipaggio e lo sversamento in mare di circa 144.000 tonnellate di greggio. Oggi, il relitto della M/C Haven giace a circa 80 metri di profondità nelle acque antistanti il Comune di Arenzano e rappresenta il più grande relitto “visitabile” di tutto il mare Mediterraneo.
10. Odyssey, Nuova Scozia, Canada, 1988Nel novembre del 1988 sulla piattaforma di trivellazione americana Odyssey, al largo della costa orientale del Canada, si verifica una violentissima esplosione. L’incidente provoca lo sversamento in mare di circa 132.000 tonnellate di petrolio.


LA STORIA

La petroliera Amoco Mildford Haven (in seguito ribattezzata Haven), da 232.166 tonnellate di portata lorda e lunghezza fuori tutto di 344 m, fu costruita presso i cantieri Asterillos Espanoles di Cadiz (Spagna) e consegnata nel 1973 alla Amoco Transport Company di Chicago, quarta di una serie di quattro navi gemelle (la “Amoco Cadiz” che affondò il 16 Marzo 1978 davanti alle coste bretoni versando in mare circa 230 mila tonnellate di greggio, la “Maria Alejandra”, esplosa l'11 marzo del 1980 davanti alle coste della Mauritania, la “Mycene”, esplosa il 3 aprile del 1980 davanti alle coste del Senegal).
La petroliera, del tipo VLCC (Very Large Crude Carrier, ossia nave cisterna di grandissime dimensioni adibita al trasporto di greggio) era stata costruita sotto la sorveglianza dell’istituto di clasifica American Bureau of Shipping ed immatricola con la classe di detto istituto sotto bandiera liberiana. La nave era munita di tre cisterne centrali e dieci cisterne laterali per il carico (cisterne 1C, 3C e 4C centrali; cisterne 1P, 2P, 3P, 4P e 5P di sinistra; cisterne 1S, 2S, 3S, 4S e 5S di dritta). Tra le cisterne del carico centrali era inserita la cisterna 2C per la zavorra. La nave rimase di proprietà della Amoco Transport Company fino al 1985. All’inizio del 1982 la Amoco Mildford Haven venne messa in disarmo a Jacksonville per rientrare in esercizio alla fine del 1983. Nei primi mesi del 1984 l’unità fu nuovamente messa in disarmo a Singapore.
Nel 1985 la nave fu venduta alla Haven Maritime Corporation di Monrovia e immatricolata sotto bandiera cipriota con il nuovo nome di Haven. Nel 1990 la proprietà passò alla Venha Maritime Company, ancora di Monrovia, mantenendo la bandiera cipriota ed il nome Haven. Sotto la nuova proprietà la nave fu riarmata ed impiegata sulla rotta Golfo Persico – Indonesia sotto la gestione della Troodos Shipping del Pireo, del gruppo Troodos Maritime International SA di Montecarlo (Monaco).
Nel 1986 l’unità fu vittima di un incaglio sulle coste indonesiane, senza gravi conseguenze. Il 31 marzo 1988 la Haven, partita da Ras Tanura (Arabia Saudita) con un carico di greggio e diretta a Teluk Semanka (Indonesia), fu colpita al largo di Dubai (Emirati Arabi Uniti) da un missile Exocet sparato da una motovedetta iraniana, riportando gravissimi danni. A seguito dell’attacco si sviluppò un vasto incendio a poppa, la nave andò alla deriva con il motore di propulsione e gli altri macchinari in moto e si incagliò a Mina Saqr. Salvato l’equipaggio rifugiatosi a prua, la nave fu disincagliata, scaricata, sottoposta ad alcuni accertamenti nel Golfo Persico e quindi rimorchiata a Singapore per l’esecuzione dei lavori di riparazione. I danni subiti interessarono il fasciame dei fianchi e del fondo, soprattutto in corrispondenza delle cisterne di poppa, il ponte di coperta, la sovrastruttura poppiera, il motore di propulsione e diversi macchinari ausiliari, anche per effetto dell’incendio avvenuto con motore in moto e dell’acqua utilizzata per lo spegnimento. Giunta a Singapore, dopo aver subito nel viaggio di trasferimento un attacco da parte di una imbarcazione di pasdaran, guerriglieri integralisti iraniani, la Haven fu sottoposta ai lavori di riparazione presso i cantieri Keppel che si protrassero dal luglio 1988 al dicembre 1990 ad un costo di 5 milioni di dollari contro gli 80 preventivati. Dopo il completamento dei lavori e l’esecuzione delle prove, la nave partì diretta a Kharg Island, nel Golfo Persico, per un nuovo carico. Ripartita a pieno carico il 10 gennaio 1991, fece rotta verso l’Europa, via Capo di Buona Speranza. Dopo aver effettuato una sosta a Las Palmas ed una sosta più lunga, in attesa di ordini, a Cadice, la nave giunse a Genova l’8 marzo ancorandosi in rada sino al 7 aprile. Dal 7 al 9 aprile la Haven si ormeggiò alla piattaforma a mare del Porto Petroli per una discarica parziale di greggio, per tornare quindi in rada. La mattina del 11 aprile la prima esplosione. Nelle sue cisterne al momento dell’incidente c'erano 144.244 tonnellate di petrolio greggio Heavy Iranian Oil (quanto basterebbe per produrre 40 milioni di litri di benzina, sufficienti a coprire in auto per 100 volte la distanza tra Terra e Luna) e 1.223 tonnellate di combustibile per la propulsione della nave (fuel oil e diesel). (Relazione Finale del Collegio dei Periti, 1995; Relazione Tecnica del Collegio dei Periti, 2000)
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