La Repubblica romana: organizzazione sociale e leggi

Sin dall’epoca monarchica, la società romana era composta da due classi: i patrizi e i plebei. I patrizi sono i discendenti dei patres (capi delle famiglie più ricche e prestigiose). I patrizi formavano un gruppo sociale molto unito da parentele ed interessi economici e politici. Essi possedevano la maggioranza delle terre e quasi tutti i magistrati appartenevano al loro ceto: essere magistrato voleva dire avere una carica pubblica. Ai plebei invece appartenevano gli artigiani, i mercanti, i contadini. C’erano poi gli schiavi che, a seconda del loro impiego potevano essere schiavi-gladiatori, schiavi casalinghi, schiavi contadini: se sopravvivevano e svolgevano bene le loro mansioni, potevano sperare di essere liberati, divenendo così liberti.

Sin dalle sue origini, i capi delle famiglie patrizie formavano un’assemblea chiamata Senato (da senex che in latino significa anziano). Durante il periodo monarchico, il Senato aveva il compito di eleggere il re, mentre durante il periodo repubblicano, il Senato eleggeva tutti i magistrati.

Dal 509 a.C, con la cacciata di Tarquinio il Superbo, Roma divenne una repubblica, anche se possiamo dire che si trattasse di una repubblica ‘aristocratica’. Infatti era governata da due magistrati, chiamati consoli che restavano in carica un anno. C’erano poi altri magistrati: i pretori (amministravano la giustizia), i censori (verificavano le ricchezze dei cittadini), gli edili (controllavano i lavori pubblici), i questori (riscuotevano le tasse).

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Nel 450 a.C, a seguito di una protesta da parte della plebe, vengono introdotte le leggi delle Dodici tavole. In questo modo le leggi erano scritte e non più modificabili sempre a svantaggio dei più poveri. Vennero stampate su lastre di bronzo ed esposte nel Foro.

Le Dodici Tavole si occupavano soprattutto di rapporti di natura “privata”, di diritto civile come diremmo oggi; per esempio, ribadivano il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei e confermavano, forse con qualche limitazione, l’amplissimo potere del pater familias. Era poi impressionante la durezza con cui veniva trattato il debitore insolvente: il creditore aveva il diritto di trascinarlo a casa propria e d’incatenarlo. Il debitore veniva poi condotto per tre volte al mercato, perché qualcuno lo riscattasse o lo acquistasse come schiavo. Se questo non accadeva, poteva essere ucciso, e se i creditori erano più di uno, il suo corpo veniva squartato.
Come in tutte le società arcaiche, alcuni risarcimenti venivano effettuati attraverso la pratica del taglione (la legge fissava tuttavia i limiti): per esempio, se qualcuno infliggeva una mutilazione a un altro, quest’ultimo poteva infliggergli la stessa mutilazione, ma solo se il colpevole si era rifiutato d’indennizzarlo. Alcune disposizioni punivano con la morte chi compiva magie o incantesimi a danno dei campi raccolti.  Se ne comprende il senso, se la si colloca nel quadro di una società che aveva nell’agricoltura la fonte essenziale di sostentamento e che, inoltre, vedeva nei riti magici un tentativo di modificare i corretti rapporti con gli dei, a scapito di tutta la comunità e non solo del singolo danneggiato.

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